Badavo ai badanti

QUALCOSA NON VA ...

“Accidenti! Ma quanto è forte questa qui!?”

Marilleva 1400. Condominio Lores  1.

Sabato pomeriggio inoltrato.

Siamo nel salotto di casa mia e stiamo recuperando  dopo otto ore di sci intensissimo. Marco, Andrea, Gloria, Carlotta, Federica e io (tutti amici) siamo in montagna per un fine settimana che ci scarichi dallo “stress” universitario.

Federica mi sta dando dei problemi. Stiamo giocando alla lotta sul pavimento e non riesco a schienarla. Lei 1.60 circa, io 1.87. Lei 45 kg circa, io 85 kg. “Ma come diavolo è possibile!? Non è assolutamente possibile!”. Basta pensare, meglio agire.

Adesso Federica è pancia a terra. Bene. Le appoggio una mano tra le scapole e la schiaccio verso il basso mentre ruoto passando dal suo lato sinistro a quello destro. Mi accovaccio perpendicolare a lei controllandola: ora la sto premendo con il busto sulla schiena. Con la mano sinistra passo sotto la sua gamba destra e le afferro il pantalone della gamba sinistra all’altezza del ginocchio. Contemporaneamente, passo la mano destra sotto il collo e prendo il suo gomito sinistro. Spingo il busto in avanti. Tiro indietro le braccia. Federica ruota sulla schiena, rovesciata.

Kuzure kesa gatame (è il nome giapponese di una mossa di Judo), e non si muove più.

Schienata!

“Ma tu guarda se per vincere ho dovuto far ricorso a tutto il mio talento di quando facevo judo agonistico (nel combattimento a terra ero quasi imbattibile)”.

Ma questo era solo il secondo segnale di quel sabato. Per tutto il giorno, nelle code agli impianti di risalita, non riuscivo a tenere gli sci in piedi, verticalmente.

Il polso mi cedeva. Non mi era mai successa una cosa simile. Figuriamoci due “cedimenti” del mio fisico super allenato nello stesso giorno.

Domenica. Il polso continua a cedere.

Forse è meglio andare dal dottor Greblo e sentire cosa mi dice. Meglio tenere fuori mamma e papà fino a quando non so che cosa sta succedendo.

“Non è il cuore e non è la circolazione” afferma con sicurezza il dottor Greblo togliendosi lo stetoscopio. La pressione è regolare. Il cuore non da segnali preoccupanti.

“Quindi...” chiedo tranquillo.

“Quindi dobbiamo escludere le ipotesi più gravi, tumore al cervello e sclerosi multipla” mi spiega. Mi è sempre piaciuto il dottor Greblo. Sempre diretto. Tranquillo e diretto.

“Come? “ domando con velo di preoccupazione che scalfisce la superficie della mia tranquillità.

“Con una risonanza magnetica alla testa” conclude.

Non posso stare a pensarci troppo. Devo correre all’ospedale San Raffaele a prenotare la risonanza magnetica. E, come avevo deciso il giorno prima, tornando da Marilleva, coinvolgerò mamma e papà con l’esito dell’esame in mano. Non voglio che si preoccupino per niente.

Arrivato al San Raffaele il mio piano ha dovuto subire una necessaria

variazione. Risonanza magnetica con la mutua: nove mesi di attesa. “Faccio in tempo a morire”, penso sorridendo cinicamente. Risonanza magnetica a pagamento: 20-30 giorni per la modica cifra di ottocentomila lire. Sul conto corrente ne ho la metà. Devo coinvolgere mamma e papà subito.

“Mi date ottocentomila lire per fare una risonanza magnetica alla testa? Devo escludere tumore al cervello e sclerosi multipla”.

“Non fare lo stupido, non scherzare!” dice papà. Distrattamente quasi a voler negare ciò che aveva appena sentito.

“Cosaaaa!?” squilla la mamma sbarrando gli occhi.

Non avevo “studiato” un modo di dirlo. Tornando a casa mi ero concentrato sulle mie prospettive. E avevo concluso che prima di preoccuparmi di qualsiasi cosa era meglio aspettare il referto della risonanza. Il fatto è che entrando in casa me li ero trovati di fronte entrambi. E l’avevo detto loro così come era. Semplicemente. Avevo passato l’ora successiva a raccontare del fine settimana, del polso che cedeva, della lotta con Federica, della visita del dottor Greblo.

15 giorni dopo ero sdraiato in un tubo della risonanza magnetica all’ospedale. 10 giorni dopo avevo in mano l’esito: negativo. Niente tumore al cervello. Niente sclerosi multipla. Nulla.

“Nella testa non c’è niente” informo gli amici.

“Niente? Che tu non avessi il cervello noi lo sapevamo già!!” mi rispondono sarcasticamente. Il nostro modo di volerci bene.

Nulla. Non c’è proprio niente. E ora? Cosa faccio? La debolezza persiste. Ok. Si affronta come un problema. Non come una malattia. Bisogna capire qual è il problema. Trovare le soluzioni. Scegliere la più adatta. Applicarla. Semplicemente.

By Riccardo Taverna