“Non andare in Canada! Fa troppo freddo!”, “Ma vai da sola? Sei coraggiosa!”, “Sei troppo lontana da casa!”, “Quando torni? E se poi non torni?”. Sono solo alcuni tra i segni di ammirazione misti a perplessità di amici e parenti. Un insieme di sentimenti contrastanti che ogni studente italiano non può evitare prima del grande viaggio oltreoceano. Gli studenti che hanno il coraggio di avventurarsi al di fuori dell’Europa sono ancora più temerari rispetto a quelli che partecipano al programma di studi Erasmus, finanziato e gestito dalla Comunità Europea in collaborazione con le Università dei paesi membri.
La mobilità internazionale studentesca in Italia è in forte aumento, ma gli universitari che decidono di partecipare a periodi di scambio nel continente americano incontrano sicuramente più difficoltà, percepibili già dai preparativi pre-partenza.
La lista delle cose da fare prima di partire sembra infinita: organizzare le finanze, ottenere un permesso di studi, prenotare i biglietti aerei, cercare un alloggio vicino al campus e non troppo costoso fidandosi dell’onestà dei proprietari, scegliere accuratamente i corsi da seguire in modo che siano riconosciuti al rientro, sistemare le varie pratiche burocratiche concernenti le due università, partecipare a feste d’addio in proprio onore (che fatica!), preparare i bagagli facendo stare il proprio mondo all’interno di due valige che dovranno bastare per almeno un anno, salutare la propria patria sapendo che il viaggio che si sta per intraprendere potrebbe accrescere il desiderio di starle lontani… Nel caso canadese, inoltre, è necessario prepararsi psicologicamente ad un inverno “diverso”.
Una volta arrivati a destinazione gli impegni non diminuiscono di certo. Se non lo si è fatto dall’Italia via internet, il primo step è trovare un alloggio. Quella camera che per i mesi a seguire sarà il proprio mondo, tappezzata di fotografie e piena di libri in lingue diverse. Inizia, in seguito, un periodo di adattamento e di scoperta, durante il quale si notano le differenze culturali, ci si abitua piacevolmente ai sorrisi delle persone per strada e alle porte tenute aperte senza pensarci due volte.
A partire dalle prime lezioni e dalla consegna del Syllabus, ci si rende conto che il metodo d’insegnamento è molto diverso rispetto a quello italiano, più rigoroso ed organizzato, meno astratto e filosofico, il ché può risultare ostile a chi non vi è abituato.
Dopo essersi immersi nel nuovo stile di vita, alti e bassi si susseguono. La nostalgia di casa si alterna a momenti di felicità dati dallo sviluppo di capacità comunicative in lingue diverse, dai primi contatti con altri italiani e da un senso di indipendenza. Il tutto culmina con l’avvicinarsi del momento del rientro, quando si appura la funzionalità dei sacrifici fatti, riconoscibili nei risultati raggiunti a livello accademico e negli occhi lucidi dei nuovi amici che si devono
lasciare.
Ottawa è una città magica. Il sole sulla pelle fino a metà settembre, i colori dell’autunno, uno spettacolo da dipingere, la neve, i sorrisi degli sconosciuti. La possibilità di migliorare due lingue straniere, l’inglese ed il francese, è un’opportunità da non sottovalutare: quando si riescono ad alternare due o tre lingue diverse in un unico discorso per la prima volta, la reazione più spontanea è un sorriso compiaciuto.
A volte però tutto ciò non basta, ci sono momenti in cui ci si sente soli anche in mezzo alla folla del Rideau Center il sabato pomeriggio. In queste circostanze le uniche soluzioni sono una bella chiacchierata su Skype con la famiglia in Italia o un buon caffè a La Bottega, la nicchia della città in cui ci si sente a casa.
Essere uno studente italiano a Ottawa vuol dire far parte di quel fortunato gruppo di persone che ha il privilegio di avere un posto chiamato “casa” in due continenti diversi. E quando ci si sente a casa, i meno trenta gradi non fanno più paura.
By Martina Camarda