PRELIBATEZZE DELL’ITALIA DEL SUD

Finalmente la burrata di Andria ha ottenuto il riconoscimento del marchio Igp (Indicazione Geografica Protetta). Infatti pochi giorni fa la Commissione europea ha approvato la richiesta di inserimento nel registro delle indicazioni geografiche protette del prodotto andriese. 

La burrata di Andria rientra tra quelle inestimabili risorse del territorio pugliese, invidiate in tutto il mondo ed esportate nei principali mercati internazionali. La “burrata” è un formaggio fresco, di latte vaccino, a pasta filata, simile alla mozzarella ma dalla consistenza molto più morbida e filamentosa. La burrata si presenta come una sacchetto di pasta filata foggiato a mano nel quale include “sfilacci” della stessa pasta filata e panna. L’insieme di panna e “sfilacci” di pasta filata è detto stracciatella. La stracciatella deriva proprio dalle modalità di preparazione del contenuto. La pasta filata viene stracciata a mano a formare dei “lucini” irregolari. 

L’invenzione della Burrata è frutto della sapiente arte casearia pugliese, in particolare di quella di Andria. La burrata sarebbe stata inventata da Lorenzo Bianchino presso la masseria Piana Padula situata nei pressi del Castel del Monte (a pochi chilometri da Andria), dove si lavoravano le manteche (formaggi a pasta filata leggermente stagionati con ripieno di burro), durante la forte nevicata del 1956 che investì anche il centro pugliese, che rese difficoltoso trasportare in città latte e derivati. Bianchino ebbe così l’idea di creare una specie di fiasco di pasta di mozzarella, praticamente un sacchetto, per conservarvi all’interno la panna e la mozzarella sfilacciata (detta stracciatella). Subito dopo la notizia del riconoscimento del marchio Igp, pero’, e’ subito scattata la polemica relativa alla provenienza del latte utilizzato per la produzione della burrata. 

Secondo la Coldiretti: «Il riconoscimento comunitario di Indicazione geografica protetta non tiene conto del decreto che obbliga a indicare in etichetta l’origine del latte per i prodotti caseari: inaccettabile». Può un prodotto che ha appena ottenuto il riconoscimento Igp, vale a dire di Indicazione geografica protetta, quindi specifico di un territorio, derivare da materie prime provenienti addirittura dall’estero? È quanto avviene, secondo la Coldiretti, per la burrata di Andria, prodotto made in Italy ma che può avere origine da materie prime non italiane. Insomma, un altro rischio di falso made in Italy che si aggiunge alla lunga lista che va dal Parmigiano alla Robiola. Secondo la Coldiretti, dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di “latte equivalente” tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate e polveri di caseina, per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. 

«C’è una grave e sostanziale contraddizione — aggiunge Angelo Corsetti, direttore di Coldiretti Puglia — oltre a un evidente tentativo di rendere appetibile a livello commerciale un prodotto fatto con latte estero. Il disciplinare caratterizza solo la qualità del prodotto (% di grasso, di proteine, carica batterica) che potrebbe, quindi, provenire da qualsiasi parte del mondo. È inaccettabile che una filiera produttiva così importante e riconosciuta non voglia cogliere la grande opportunità data dall’etichettatura obbligatoria che di fatto è un grande successo per tutto il mondo agricolo e per gli allevatori che versano in una grave situazione per colpa del prezzo del latte troppo basso e delle importazioni di latte e prodotti semilavorati dall’estero, utilizzati per fare mozzarelle e formaggi spacciati per “made in Italy” o “made in Puglia”». Nella sola Puglia — stando ai numeri di Coldiretti — a fronte dei 1.939 allevamenti che producono 3,6 milioni di quintali di latte bovino, le importazioni di latte dall’estero raggiungono i 2,7 milioni di quintali (oltre a 35mila quintali di prodotti semi-lavorati quali cagliate, caseine, caseinati e altro), utilizzati per fare prodotti lattiero-caseari che vengono, poi, venduti come prodotti lattiero-caseari “made in Puglia”. 

a cura di Angela Maria Pirozzi