Una maturazione aiutata, dopo il terremoto del 6 aprile 2009, dal gemellaggio con Paganica, nato nel segno della “visita”
MODICA - Nel pensare a quello che il Seminario vuol essere in questo nostro tempo mi piace identificarlo come luogo di incontro e di relazioni costruttive. Relazioni generate dall’esperienza di quell’Altro Trascendente che ritrovo nel prossimo, luogo privilegiato in cui Dio si rivela e ci introduce in una conoscenza piena di noi stessi, misura della nostra umanità fondata sulla gratuità e sulla Parola che ci rende annunziatori dell’Evangelo grazie ad una coerente condotta di vita. In quest’orizzonte mi piace ripensare l’arricchente esperienza dei rapporti di gemellaggio tra la mia parrocchia, San Pietro Apostolo di Modica, e quella di S. Maria Assunta di Paganica, storica e popolosa frazione dell’Aquila. L’esperienza inizia nell’estate dopo il terribile terremoto del 6 aprile 2009, quando un gruppo della diocesi andò per portare aiuto. Aldilà dell’aiuto nell’emergenza, ciò che caratterizzò fin dall’inizio la nostra presenza tra la popolazione paganichese fu l’incontro con alcuni fratelli nello spirito dello scambio gratuito e disinteressato. Non si trattava di “aiutare” in senso materiale o morale, ma era sin dall’inizio un camminare insieme nella consapevolezza di essere uniti da un’unica fede in Cristo Gesù, e quindi figli e fratelli. Così il rapporto è continuato e continua tuttora nel segno della “visita” intesa come la fretta gioiosa di Maria nel soccorrere Elisabetta, condividendo le prove della vita in tutti i suoi aspetti. Visita caratterizzata da un profondo scambio di vissuti e di reciprocità nel riconoscersi Chiesa, discepola di un unico Pastore seguendo la Via della carità, la Verità della fede e la Vita in Cristo che ci fa nuove creature. Ciò vuol dire lasciare il nostro egoismo e le nostre chiusure mentali per arricchire la nostra esistenza, spesso arida ma affamata di cose essenziali, così da lasciarci interpellare dalla voce di chi porta il peso e la fatica della vita quotidiana. Rileggendo il vissuto e la testimonianza di fede che mi trasmettono questi fratelli percepisco come solo in Dio si trovi la vera fonte per ricominciare a sperare e a guardare le nostre esperienze come energie che arricchiscono e nutrono la nostra statura di uomini e di cristiani. Di questo camminare insieme mi piace mettere in rilievo alcuni aspetti che ritengo essenziali nella vita ordinaria di un credente: l’accoglienza semplice ma al tempo stesso calorosa; una relazione autentica e adulta; una fede solida che irrobustisce anche nella prova. Tratti che così si possono sintetizzare: Dio si mostra vicino nell’incontro con l’altro solo se siamo in grado di lasciarci educare prima da Lui, per poi offrire una speranza che abbia il gusto della carità evangelica. Questa esperienza mi ha fatto maturare quindi una concezione diversa del fratello: anche quando esso appare piegato dalle pesantezze della vita, quando sembra che per lui non ci sia più nulla da fare, in quel fratello posso ritrovare tanta ricchezza, tanti doni, tanta bellezza, forse più di quella che io stesso posso dare. E mi viene spontaneo sottolineare pure l’importanza che assumono le due famiglie in cui ognuno di noi cresce: la famiglia naturale, primo contesto di vita, e la famiglia parrocchiale, palestra in cui ti misuri alla luce della Parola, dell’Eucarestia e dei “minimi” e in cui siamo chiamati a «portare i pesi degli altri per adempiere alla legge di Cristo» (Gal 6,2).