Spetta all’Italia il record negativo della quota di adulti tra i 18 e i 34 anni che vivono con i propri genitori. In Italia si è raggiunto, infatti, lo stratosferico livello del 67,3% (2015). Due su tre. Una tendenza ogni anno in crescita dal 61,1% del 2008. La crisi economica e la disoccupazione hanno certamente contribuito a innalzare il numero di giovani che rimangono in famiglia perché non hanno la possibilità di fare altrimenti. Il problema è che la quota italiana è strutturalmente alta, la più alta tra le economie e gli Stati dell’Europa in qualche modo efficienti: è al livello di quella dei Paesi più arretrati del Vecchio Continente. Secondo Eurostat, nella Ue, rimangono a vivere in casa più di noi solo i 18-34enni di Croazia (70,1%) e Slovacchia (69,6). Subito dopo di noi, su quote elevate, Malta (66,1), Grecia (63,8), Portogallo (62,9), Polonia (60,9), Slovenia (60,8), Romania (59,2), Ungheria (58,5), Spagna (58) e Bulgaria (56,2). I Paesi con economie e sistemi sociali più efficienti riescono a far sì che un maggior numero di giovani lasci prima la casa dei genitori. Restano meno in famiglia in Danimarca (19,7%), e poi in Finlandia (20,1) e Svezia (22,2): come sempre in testa in questo genere di classifiche sulla dinamicità economica e sociale. Ma le cose sono ben diverse rispetto all’Italia anche nel Regno Unito (34,3%), in Francia (34,5), in Olanda (36), in Germania (43,1) e in Belgio (44,3). Molte sono le ragioni per le quali in Italia una quota così alta di giovani continua a vivere con i genitori: la cultura, l’idea della famiglia certamente hanno un peso.
Ma più di ogni altra cosa contano il livello della disoccupazione, le aspettative per il futuro, la difficoltà di accudire gli anziani, il mercato del lavoro che ha una scarsa mobilità anche territoriale, la scarsa propensione a prendere rischi in una società in cui la scala dell’emancipazione sociale funziona poco. Da notare però che in tutti i Paesi della Ue le donne rimangono in casa molto meno dei maschi: in Italia siamo al 62% contro il 73. Segno forse che la lotta per l’emancipazione (dai vincoli strutturali) ha una leadership femminile. Ci si chiede: questo record negativo, questo 67,3%, un singolo numero, può indicare quanto un Paese come l’Italia abbia bisogno di riforme strutturali? Come sempre, la perfezione non esiste. Si tratta, però, di un indicatore che riassume la complessità dell’economia, della situazione sociale, della dinamicità, della mobilità, forse persino delle speranze di un Paese.
a cura di Angela Maria Pirozzi